“A Blurred Glass” recensione su Colonnesonore.net

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Un album importante (e di seguito vi spiegherò il perché) e non una colonna sonora di cui primariamente ci occupiamo, seppur con musiche scritte da un compositore italiano che ha da sempre a che fare con la musica applicata alle immagini: Kristian Sensini. Fu da noi premiato con lo storico riconoscimento dei nostri lettori, il Premio ColonneSonore.net (terza edizione 2015), per la migliore colonna sonora per film straniero, la pellicola d’animazione lituana Rocks In My Pockets. Sensini, più volte intervistato e recensito tra le nostre pagine e in video per Soundtrack City, la nostra controparte visiva web a cura mia e di Marco Testoni, il nostro vicedirettore, ha avuto a cuore la realizzazione di questo concept album, A Blurred Glass (trad. Un vetro sfuocato), a favore dell’Ucraina, ottenuto tramite una sostenuta campagna crowdfunding, composto per quartetto d’archi ed elettronica (con la preminenza di un sound anni ’60 – ’70 molto sperimentale e mistico), inciso in Italia e contemporaneamente a distanza in  uno studio di registrazione nei pressi di Odessa, a cura di Oleh Mytrofanov, con i musicisti Alexey Zavgorodniy al violino e viola, Kateryna Mytrofanova al violoncello e lo stesso Sensini ai synth e programming. Il ricavato di questo CD è stato (e andrà con il prosieguo delle vendite) in beneficenza a sostegno dei profughi ucraini scappati o scacciati dall’invasore russo.
Ogni titolo facente parte dei sedici della track list è, a detta dello stesso compositore, “influenzato da una (neanche troppo…) profonda riflessione sulla nostra realtà contemporanea”, perché il compositore “è stato sempre convinto del fatto che la Musica sia uno dei mezzi più puri per raccontare il proprio periodo storico e che, di riflesso, il mondo in cui viviamo, le sfide che ogni giorno l’uomo si ritrova ad affrontare, influenzino come la Musica viene creata. Il suono di questo disco riflette gli ultimi anni di vita in casa, quasi nascosti gli uni agli altri. Si tratta di musica “da camera” nella sua accezione primaria, musica che è pensata per essere eseguita, ed ascoltata, nell’intimità delle mura domestiche. E’ un disco registrato in casa, anche se con musicisti che si trovano a centinaia di chilometri di distanza tra loro”.
Il pezzo che apre l’album, “Glass Mantra”, sbuca come un grido soffocato, strozzato nel suo desiderio di urlare libero, tramite un suono sintetico vocalizzante girovago e cupo, che un pizzicato d’archi e una nota lunga del violino fanno vibrare nell’aria per donargli indipendenza risolutiva, che detona con il subentrare del tema glassiano danzante principale, palesatosi in tutta la sua rinfrancante armoniosità risanante. “Blurred” sembra proprio essere (ma d’altronde essendo un album concettuale, l’intento è proprio questo) il logico proseguimento del brano iniziale, con una melodia che gira su sé stessa, cantilenante (quasi una ninnananna rassicurante) e mestamente diradata. “Bedroom Roadtrip” si presenta come una gioiosa pregheria alla vita, che pur nella sua spesso crudele faccia che ci spaventa, in verità sa essere una madre affettuosa che ha bisogno di essere amata a sua volta (anche di più dell’amore che ci dona) e rispettata così da non rivoltarcisi contro. “Bad Feeling” punta su toni iniziali assai gravi degli archi e di un suono synth sottilmente pungente, un vero e proprio elogio all’inconsistenza e all’inutilità di ogni guerra e di ogni male, che nella seconda metà del pezzo, in un crescendo cardiaco insostenibile, ci pugnala dritto al cuore. “Lights Out” è un’elegia funebre che se le orecchie ascoltanti divenissero occhi spalancati si avrebbe la visione sonora di desolante annichilimento mortuario dopo una devastante battaglia senza vincitori né vinti, ma soltanto povera gente innocente che non avrebbe mai pensato di subire una tale tragedia senza senso (come tutte le guerre lo sono da sempre). “I Trust You” è l’anello di congiunzione con la traccia precedente, dove quel senso di ineluttabilità di fronte alle brutture della guerra e all’incapacità di poterla contrastare veramente, viene consolato da una melodia delicata però parecchio amareggiata. “Self Consciousness” nel suo echeggiante leitmotiv che spalanca gli occhi e le orecchie ad una speranza ritenuta principalmente vagheggiante, dona una sorta di sollievo e di respiro nuovo, che il suono vagante sintetico su archi sospesi e sulla viola eterea, nel suo altrettanto vagare senza metà eppure sicura, lo rendono uno dei brani più interessanti e assuefacenti dell’album. “I See You” è, come accaduto con “Lights Out” e “I Trust You” prima, la prosecuzione della traccia “Self Consciousness”, con una sospensione dell’andamento degli archi e degli effetti pseudo ritmici campionati molto morriconiani, con stavolta un nucleo leitmotivico centrale assai tetro e afflitto. “Mental Glitch” produce un suono corroso e corrosivo, asceticamente enfatico nel suo risuonante e progressivo allarmismo frenato, assai dolente. “The Window” suona cauto, con effetti martellanti discontinui (sembra un picchio ostinato), in cui il tema richiama la poetica del sintetismo più intangibile ed evocativo proprio di gruppi quali gli Art of Noise e i Tangerine Dream; evento uditivo che si ripete con il crescendo ritmicamente incantato e incantevole del brano susseguente “Overthinking” (insieme a “Self Consciousness” la traccia più intensamente pregnante del CD), in cui gli archi eseguono una circonvoluzione tematica ipnoticamente seducente. “Still Me”, gocciolante e pensoso, dubbiosamente oscuro, è molto ligetiano nel suo accrescimento concentrico. “Panic Debris” cresce piano piano con il preminente intento (Morriconiano) di allertare e aprire le menti alla realtà reale degli accadimenti intorno a noi, dentro di noi, fuori di noi: il tema, che turbina su sé stesso, è di quelli che divenendo assordanti, assumono tratti chiarificatori ben gridati. “Social Distance” è dilatazione pura tematica, quasi liquescente e, in specie nella parte centrale della traccia, una danza moderna folclorica di abbacinante seduzione emozionale. Con il penultimo brano “Your Voice” tornano quelle atmosfere synth accurate ed evocative alla Tangerine Dream che tanto hanno segnato gli anni Settanta della musica elettronica, con una pagina melodica dalle nuance celtiche nel suo nucleo performante, però aspirante mondi lontani che stanno a significare nuove esistenze senza più atrocità e falsità. In chiusura “Yugen”, con la sua fosca epicità synth tra Vangelis e i sempre succitati Tangerine Dream, che urla, nella tragica drammaticità in levare degli archi tiratissimi e gravi, NO alla GUERRA e SI alla PACE, tuttavia con quel risonante sentimento di abbattimento per tutto ciò che è già avvenuto e ancora avviene in Ucraina, come in altre parti del mondo che sono, in questo preciso momento, dimenticate ma che subiscono il medesimo abominio.

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