Musica e intelligenza artificiale… che bel connubio! Sapete, ho fatto un sacco di interventi e interviste su questo argomento negli ultimi due o tre anni, e ogni volta ho cambiato idea. Perché, con la velocità con cui sta evolvendo tutto, non fate in tempo a farvi un’opinione che dovete subito ricredervi! È come se… beh, come se foste a un ristorante e ordinate un piatto di pasta, e quando arriva il cameriere vi dice ‘Ah, scusate, ma abbiamo cambiato il menù. Ora vi portiamo una pizza con dentro una lasagna.’ E voi dite ‘Ma scusate, io volevo la pasta!’ E lui vi risponde ‘Ma è lo stesso, no? È solo che ora ha il formaggio dentro.’ E voi siete lì, confusi, a chiedervi se quello che state mangiando è davvero cibo o se è un esperimento di laboratorio.”
All’inizio dicevo: ‘No, l’intelligenza artificiale non sostituirà mai i compositori e i musicisti. Sentite che risultati banali!’. Poi mi sono ricreduto, pensando: ‘Beh, sì, è brava a imitare, ma manca di qualità, manca di originalità’. E ora? Ora sono arrivato alla resa, ma… c’è un però. E forse ho capito cosa è.
Il problema è che l’intelligenza artificiale è come un artista che ha studiato troppo, un po’ come il ragazzo che si mette a suonare il piano solo dopo aver letto il manuale, ma senza mai sentire davvero la musica. Eppure, quando la ‘addestri’ bene, come diciamo noi nel mondo della musica, beh, porca zozza, inizia a tirar fuori dei risultati che… cavolo, sono anche buoni! Ma c’è sempre quel piccolo dettaglio, quel pizzico di ‘umano’ che manca. È come se aveste un’orchestra perfetta, ma senza il direttore che sa quando fare una pausa, quando improvvisare, quando dare quel tocco di follia.
Sapete cos’è Suno? È un’app divertentissima che ti permette di creare una canzone in un batter d’occhio. Gli dici che tipo di brano vuoi, e voilà, ti produce tutto: strumentale, voce, testo, arrangiamento, mastering, il tutto con un risultato che, se non fosse moralmente discutibile, sarebbe quasi impressionante. Puoi fare una ballata d’amore o un pezzo dance senza muovere un dito. O forse con un dito, giusto quello per schiacciare “Crea.” Se non la conoscete dovete provarla e farvi una idea e forse spaventarvi. Certo, il risultato è buono, ma non è proprio il massimo se sei un musicista vero, con il cuore e la passione per ogni nota. Ma non è di questo che voglio parlare, è di un’altra dichiarazione che fa accapponare la pelle.
Il CEO di Suno Mikey Shulman ha detto: “Non è davvero piacevole fare musica ora. Richiede molto tempo, molta pratica, bisogna diventare molto bravi con uno strumento o con un software di produzione,” ha spiegato Shulman. “E penso che la maggior parte delle persone non si diverta per la maggior parte del tempo che trascorre a fare musica.” Sembra il lamento di un aspirante musicista frustrato e fallito che, dopo aver provato cinque minuti a suonare la chitarra, si rende conto che per diventare bravi occorre studiare e che non si nasce imparati. Ma, del resto, è la frustrazione delle nuove generazioni che vedono video cortissimi sui social di gente che fa cose fenomenali, senza capire che dietro quei 15 secondi di performance ci sono anni di studio, fallimenti, sudore e sacrifici.
Ora, se dovessi prendere questa affermazione e adattarla a una relazione, immaginate che qualcuno dica: “Le relazioni sono diventate troppo complicate. Non c’è più bisogno di passare anni a conoscere qualcuno, a lottare per trovare il giusto equilibrio. Ora puoi semplicemente dire cosa vuoi e l’altro ti darà esattamente quello che cerchi, senza problemi.” Ecco, quella frase, come quella del CEO, non è solo una banalizzazione di ciò che veramente conta, ma una presa in giro di tutto ciò che rende le relazioni—e la musica—significative. C’è sempre bisogno di impegno, di sforzi, di sacrifici per creare qualcosa che abbia valore.
Del resto fare musica non è più come una volta, proprio come le relazioni non sono più quelle di una volta. Una volta, l’amore era semplice: incontravi qualcuno, probabilmente in una tavola calda di quartiere, parlavate dei vostri romanzi preferiti—Proust, se volevi fare il sofisticato, Hemingway, se volevi sembrare virile—e, prima che te ne accorgessi, eri sposato e litigavi su chi dovesse dormire dal lato sinistro del letto. Efficienza romantica! Ora? Le relazioni sono come produrre una sinfonia con un software che non hai mai usato prima: dispendiose in termini di tempo, emotivamente costose e, spesso, con necessità di assistenza tecnica.
Pensateci: Shulman dice, “Richiede molta pratica, molto tempo, e devi essere davvero bravo.” Non descrive forse alla perfezione una relazione moderna? Non si tratta più di incontrare qualcuno che ride alle tue battute e sopporta tua madre; si tratta di algoritmi di compatibilità, stili di attaccamento e, per l’amor del cielo, disponibilità emotiva. Il lavoro richiesto è immane. Prima di tutto, devi conoscere te stesso. E questo è già un lavoro a tempo pieno, e una volta che ci sei arrivato (spoiler: non ci arrivi mai), devi anche “comunicare.” Come un tecnico IT che cerca di risolvere una relazione che non si avvia correttamente.
Ah, e non dimentichiamoci un altro parallelo: la perfezione. Shulman parla di dover essere “davvero bravo” con il tuo strumento o software. Le relazioni ora richiedono impeccabilità. Non puoi avere una giornata no. Non puoi semplicemente dire: “Sono troppo stanco per interessarmi al dramma del matrimonio di tua cugina di terzo grado.” No! Devi partecipare. Devi essere emotivamente presente, di supporto, intellettualmente stimolante e almeno marginalmente attraente—ogni singolo giorno!
Forse abbiamo perso la gioia spontanea di fare casino. L’amore, come la musica, non è mai stato pensato per essere perfetto. Doveva essere rumoroso, caotico, a volte stonato. Allora smettiamola di produrre relazioni come se fossero album concettuali e torniamo a canticchiare i nostri sentimenti, anche se siamo fuori tono. Chissà? Gli errori potrebbero essere proprio la parte migliore.
E invece si vorrebbe pretendere che il futuro sia tutto lì, in un clic. Non più sudore, non più errori, niente più “ritorniamo a questo passaggio” dopo settimane di prove. Oh, quanto è comodo. Ma è anche un po’ inquietante, no? È come se ci stessero dicendo che l’unica cosa che conta è la superficie, l’efficienza, la prestazione. E tutto ciò che rimane è il suono, ma non la musica.
Eppure, la verità è che la bellezza della musica—e, più in generale, dell’arte e della vita—è proprio quella: è il tempo che ci metti, il percorso tortuoso, la costante ricerca di perfezione che non arriverà mai. Fare musica, o creare, non significa essere perfetti, significa essere coinvolti in un processo che è a metà strada tra l’ispirazione e il fallimento Non è solo un lavoro, è un’esperienza, un atto di vita. Proprio come le relazioni—quelle vere, quelle complicate—non sono mai perfette. C’è sempre qualcosa di irrisolto, una melodia che non suona come vorresti, ma che ti appartiene, che parla di te in un modo che nessun algoritmo potrà mai imitare.
La musica non è una questione di perfezione, è una questione di passione, di dedizione. Quando passi anni a perfezionare uno strumento o a scrivere una canzone, non stai solo cercando di migliorare tecnicamente, ma stai cercando di capirti meglio, di esplorare te stesso in un modo che non puoi ottenere con un’app. E quella ricerca, quel fallimento, quel miglioramento costante—è tutto ciò che fa sì che la musica sia davvero viva. La vita è fatta di tentativi imperfetti, di note sbagliate che si trasformano in qualcosa di unico, proprio come noi.
Quindi sì, Suno è divertente. Ma forse la vera bellezza della musica—e della vita—è che non saremo mai perfetti. E, sai una cosa? Va benissimo così.