Il ruolo del compositore di musica per film ha subito profonde trasformazioni negli ultimi anni, a seguito delle evoluzioni tecnologiche, delle nuove modalità di produzione audiovisiva e delle mutate esigenze dell’industria cinematografica. Per comprendere meglio la realtà attuale di questa professione in Italia, il mese scorso ho realizzato un sondaggio, sotto forma di questionario a risposta multipla, con l’obiettivo di indagare lo stato del mestiere di compositore di musica per il cinema e la televisione.
Le domande sono state rivolte a un gruppo specifico di compositori, tutti professionisti che lavorano regolarmente per il cinema e la TV, selezionati all’interno dell’ACMF (Associazione Compositori Musica per Film).
Cos’è l’ACMF?
L’ACMF (Associazione Compositori Musica per Film) è un’organizzazione che riunisce compositori italiani attivi nel mondo del cinema, della televisione e delle produzioni audiovisive in generale. Fondata con l’intento di promuovere e tutelare la figura del compositore nell’industria audiovisiva, l’ACMF si impegna a valorizzare il ruolo della musica all’interno della narrazione cinematografica, offrendo supporto e creando occasioni di confronto tra i professionisti del settore. L’associazione si occupa anche di sensibilizzare il pubblico e le istituzioni sull’importanza della musica nel linguaggio audiovisivo e di favorire la crescita professionale dei suoi membri attraverso iniziative culturali e formative.
Obiettivo del sondaggio
L’indagine mira a raccogliere dati significativi sulle condizioni di lavoro, sulle sfide e sulle opportunità che caratterizzano il mestiere del compositore per il cinema e la TV in Italia. In particolare, il questionario esplora aspetti quali il rapporto con i registi e i produttori, le dinamiche contrattuali, l’impatto delle nuove tecnologie e il ruolo delle piattaforme digitali nella distribuzione della musica per film.
Attraverso i risultati di questo sondaggio, cercheremo di delineare un quadro più chiaro e aggiornato della situazione, offrendo spunti di riflessione e proposte per il miglioramento delle condizioni professionali dei compositori italiani.
- “Quando hai composto la colonna sonora per il tuo ultimo film?”
Dai risultati emerge che circa il 74% dei compositori intervistati ha lavorato su un film negli ultimi 12 mesi, indicando un’attività professionale costante. Il 17% ha dichiarato di aver composto l’ultima colonna sonora tra uno e tre anni fa, mentre una percentuale più ridotta ha lavorato oltre tre anni fa.
Un dato significativo è che circa il 6% degli intervistati ha riferito di non aver composto una colonna sonora per un film da più di cinque anni, un numero che, pur essendo minoritario, merita attenzione.
È importante sottolineare che questi dati riguardano esclusivamente professionisti del settore, non appassionati o amatori. La maggioranza, ovvero tre quarti degli intervistati, dimostra che il lavoro c’è e che l’attività dei compositori per film è tuttora presente. Tuttavia, prima di trarre conclusioni definitive, è necessario analizzare l’intero quadro emerso dal sondaggio

2. Qual è stato il compenso medio per la tua ultima colonna sonora (premio partitura) ?
La seconda domanda del sondaggio riguardava il compenso medio ricevuto dai compositori per la loro ultima colonna sonora. In particolare, si chiedeva quale fosse il “premio partitura”, ovvero il compenso corrisposto esclusivamente per la scrittura della colonna sonora, escludendo diritti d’autore e altri eventuali introiti accessori.
Dai dati raccolti emerge una realtà frammentata, con compensi distribuiti in diverse fasce:
- Circa un terzo dei compositori ha dichiarato di aver ricevuto meno di 5.000 euro per la propria ultima colonna sonora.
- Un altro terzo ha indicato un compenso tra 5.000 e 10.000 euro.
- Il 22% dichiara un compenso tra i 10.000 e 20.000 euro
- Solo una piccola percentuale ha riferito di aver percepito oltre 25.000 euro per il proprio lavoro.
Questi numeri mettono in evidenza un aspetto significativo: sebbene il lavoro per i compositori ci sia, spesso si tratta di progetti a basso budget. Infatti, considerando che circa due terzi dei rispondenti ha ricevuto un compenso massimo di 10.000 euro, emerge la difficoltà di sostenersi economicamente esclusivamente con questa attività, soprattutto se si lavora a un solo film all’anno.
È importante sottolineare che i film in questione non sono cortometraggi o produzioni studentesche, ma lungometraggi effettivamente distribuiti in sala o su piattaforme. Questo dato evidenzia una caratteristica tipica del mercato italiano, dove i compositori si trovano spesso a lavorare con budget ridotti anche su produzioni di rilievo.
Infine, sebbene esista una minoranza di compositori che ha percepito compensi più elevati (oltre 25.000 euro), questa rappresenta una percentuale davvero esigua. Un dato che conferma la necessità di una riflessione più ampia sulle condizioni economiche della professione e sulla sostenibilità del mestiere di compositore di musica per film in Italia.

3. Quante colonne sonore hai composto negli ultimi cinque anni?
La terza domanda del sondaggio mirava a comprendere la frequenza con cui i compositori hanno lavorato a nuove colonne sonore negli ultimi cinque anni.
Dai dati raccolti emerge che circa la metà degli intervistati ha lavorato a cinque o più colonne sonore, confermando così una media di circa una colonna sonora all’anno. Questo dato appare coerente con quelli delle domande precedenti, suggerendo che una parte significativa dei compositori riesce a mantenere una certa continuità lavorativa.
Tuttavia, non tutti riescono a lavorare con regolarità. Una parte degli intervistati ha dichiarato di non aver composto alcuna colonna sonora negli ultimi cinque anni, evidenziando quindi l’esistenza di una fascia di professionisti che, pur essendo attivi nel settore, non ha avuto opportunità recenti di lavorare su un progetto cinematografico o televisivo.
Analizzando le altre fasce di risposta:
- 11% ha lavorato a due colonne sonore;
- 15% ha lavorato a tre colonne sonore;
- 11% ha lavorato a quattro colonne sonore.
Questi numeri confermano che non tutti i compositori riescono a lavorare con continuità ogni anno, ma che esiste comunque una parte significativa che mantiene un’attività regolare. Il dato più rilevante rimane il fatto che la metà dei compositori intervistati ha composto almeno una colonna sonora all’anno negli ultimi cinque anni, dimostrando che, nonostante le difficoltà del settore, il lavoro per alcuni professionisti continua ad esserci.

4. Quando hai lavorato per l’ultima volta a un film italiano uscito in sala?
Questa domanda del sondaggio ha permesso di analizzare la proporzione tra i compositori che hanno lavorato a film destinati alla sala cinematografica rispetto a quelli destinati, presumibilmente, allo streaming o ad altre forme di distribuzione.
Dai dati raccolti emerge che:
- 38% degli intervistati ha lavorato a un film uscito in sala negli ultimi 12 mesi;
- 27% ha lavorato a un film uscito tra uno e tre anni fa;
- 11% ha lavorato a un film uscito tra tre e cinque anni fa;
- 23% ha dichiarato di non aver lavorato a un film destinato al cinema da più di cinque anni.
Il dato del 23% rappresenta una percentuale significativa di compositori che hanno visto la loro ultima esperienza con un film destinato alla sala cinematografica oltre cinque anni fa. Questo suggerisce che sempre meno compositori hanno l’opportunità di lavorare su film che vengono distribuiti nei cinema, mentre si evidenzia una crescente predominanza di lavori destinati alle piattaforme di streaming.
Il mercato cinematografico è cambiato profondamente negli ultimi anni, con una distribuzione sempre più orientata allo streaming piuttosto che alla sala cinematografica. Questo cambiamento potrebbe essere una delle cause della diminuzione dei compensi per i compositori, poiché le produzioni per piattaforme streaming spesso riservano budget più contenuti alla colonna sonora rispetto ai film destinati alla distribuzione cinematografica.
Un altro aspetto da considerare è il crescente interesse verso il linguaggio seriale, che sta acquisendo sempre più rilevanza rispetto a quello cinematografico tradizionale. Questo potrebbe rappresentare una nuova opportunità per i compositori, ma allo stesso tempo pone delle sfide economiche e creative differenti.
Questi dati ci offrono una visione chiara della trasformazione dell’industria audiovisiva e del suo impatto sul lavoro dei compositori. Ognuno può trarre le proprie conclusioni, ma appare evidente che la centralità della sala cinematografica sta progressivamente diminuendo, mentre il mondo dello streaming diventa sempre più dominante.

5. Qual è stato il tuo ultimo progetto europeo (esclusi film italiani)?
Escludendo i film italiani, questa domanda mirava a comprendere il rapporto dei compositori italiani con il mercato europeo. Non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche in termini di riconoscimenti, pubbliche relazioni e altre opportunità professionali.
Ho chiesto: “Hai lavorato a film europei negli ultimi anni?”
Dai dati raccolti emerge che:
- 43% degli intervistati ha risposto di non aver mai lavorato a un progetto europeo al di fuori dell’Italia.
- 21% ha lavorato a un film europeo negli ultimi 12 mesi.
- il 18% tra uno e tre anni
- 17% ha collaborato a un film europeo tra tre e cinque anni fa.
Se sommiamo coloro che hanno lavorato a un film europeo negli ultimi 12 mesi e negli ultimi tre anni, otteniamo circa il 31%, una percentuale decisamente inferiore alla metà del totale. Questo dato sottolinea la difficoltà per i compositori italiani nel trovare opportunità di lavoro all’estero, anche in Europa.
Questo argomento l’ho già affrontato in un altro contesto, ma vale la pena riprenderlo. I compositori italiani hanno oggettive difficoltà a entrare nel mercato europeo, e non mi riferisco a Hollywood o Bollywood, ma a produzioni di paesi vicini come Francia, Germania e Spagna. Questo avviene perché molte produzioni europee tutelano i propri talenti nazionali con agevolazioni economiche e sgravi fiscali. Ad esempio, una produzione francese che ingaggia un compositore francese può ottenere incentivi statali, cosa che rende più difficile per un italiano essere scelto.
Anche nelle coproduzioni tra Italia e altri paesi europei, spesso il compositore viene scelto dall’altra nazione coinvolta. Nonostante il progetto sia in parte italiano, la produzione straniera tende a imporre un proprio compositore. Questo è un fenomeno ricorrente che sto studiando, anche se non ho ancora dati scientifici precisi alla mano. Se qualcuno ha esperienze dirette o informazioni su questo meccanismo, mi contatti: sarebbe interessante approfondire.
Basta osservare i dati sulle coproduzioni per notare che raramente viene scelto un compositore italiano. Al contrario, in Italia è abbastanza comune affidare colonne sonore a professionisti stranieri, una pratica positiva per lo scambio di idee e creatività. Sarebbe altrettanto giusto che anche i compositori italiani potessero lavorare per film francesi, spagnoli, tedeschi e di altri paesi.
Il talento deve poter circolare liberamente e non rimanere confinato entro i limiti di una singola nazione. Questo dato è molto significativo e merita di essere approfondito ulteriormente.

6. Hai mai lavorato a un progetto fuori dall’Europa?
Questa domanda mira a esplorare la presenza dei compositori italiani nei mercati cinematografici extraeuropei, analizzando il loro coinvolgimento in produzioni statunitensi, cinesi, indiane o di altri territori internazionali.
Dai dati raccolti emerge che:
- 36% dei compositori intervistati ha risposto no, mai, indicando di non aver mai avuto esperienze lavorative al di fuori dell’Europa.
- 22% ha dichiarato di aver lavorato a un progetto extraeuropeo tra uno e cinque anni fa.
- 18% ha risposto di aver avuto un’esperienza simile più di cinque anni fa.
- 23% ha risposto si nel corso dell’ultimo anno
Questi numeri confermano una tendenza già evidenziata nelle risposte alle domande precedenti: i compositori italiani hanno una presenza molto limitata nei mercati internazionali al di fuori dell’Europa. Se il rapporto con i paesi vicini appare già complesso, con forti limitazioni dovute a protezionismi nazionali e incentivi economici per talenti locali, il quadro si fa ancora più difficile quando si analizzano i mercati extraeuropei.
L’industria cinematografica statunitense, ad esempio, è notoriamente chiusa e altamente competitiva, con un sistema che favorisce compositori già inseriti nel mercato. Il basso numero di compositori italiani che hanno lavorato su progetti di questi mercati suggerisce che le opportunità sono poche e spesso difficili da cogliere.
Se si considera che meno della metà degli intervistati ha avuto esperienze lavorative extraeuropee, e che queste esperienze sono spesso sporadiche e datate, emerge un dato significativo: il compositore italiano fatica a esportare il proprio talento oltre i confini nazionali ed europei. Questa situazione potrebbe derivare da una combinazione di fattori, tra cui la mancanza di network internazionali, barriere linguistiche, una minore presenza italiana nei grandi circuiti produttivi e una scarsa cultura dell’internazionalizzazione del settore musicale per il cinema.
Questa domanda porta a riflettere su quanto sia necessario sviluppare strategie per favorire una maggiore apertura al mercato globale, creando opportunità di scambio, collaborazioni e promozione per i compositori italiani all’estero. Il talento non manca, ma occorre costruire le giuste occasioni per valorizzarlo su scala internazionale.

7. Come hai trovato i tuoi ultimi tre ingaggi?
Questa è una domanda fondamentale, soprattutto per i giovani compositori che cercano di entrare nel mondo del cinema e spesso si chiedono come contattare registi e case di produzione, o come ottenere la loro prima opportunità professionale.
Dai dati raccolti emerge che:
79% (quasi 80%) degli intervistati ha ottenuto il proprio ingaggio tramite un contatto personale. Questo può significare aver lavorato in passato con il regista, il produttore o un altro membro della produzione, oppure essere stato presentato da un conoscente o un amico nel settore.
17% ha dichiarato di aver trovato uno dei suoi ultimi tre lavori collaborando con un regista emergente, spesso al suo primo film. Questo tipo di collaborazione, se fruttuosa, può evolversi in un rapporto professionale stabile e duraturo.
Una percentuale minima (circa 3%) ha ottenuto incarichi tramite agenti o rappresentanti, a conferma del fatto che in Italia l’agente non è una figura centrale nella ricerca di nuovi ingaggi, bensì più utile nella gestione dei contratti e nelle trattative.
Quasi nessuno ha trovato lavoro partecipando a un concorso o a una gara.
Questi dati dimostrano che nel mondo del cinema le pubbliche relazioni giocano un ruolo chiave. Non si tratta di raccomandazioni, ma di costruire relazioni professionali e inserirsi attivamente nell’ambiente cinematografico. Avere contatti all’interno del settore aumenta le probabilità di essere coinvolti in progetti futuri, mentre rimanere confinati nel solo ambiente musicale riduce drasticamente le possibilità di lavorare nel cinema.
Un consiglio per chi vuole entrare in questo mondo è frequentare festival, eventi di settore e ambienti cinematografici, costruire connessioni con registi e produttori, e considerarsi non solo musicisti, ma veri e propri professionisti del cinema con una competenza specifica nella musica.
In sintesi, il successo nel settore non dipende esclusivamente dal talento musicale, ma anche dalla capacità di essere presenti nel mondo del cinema, stringere relazioni e cogliere le opportunità che ne derivano.

8. Hai un’agenzia o un agente che ti rappresenta?
Questa domanda è strettamente collegata alla precedente, poiché approfondisce il ruolo dell’agente nella carriera di un compositore e la sua effettiva utilità nel mercato italiano.
Dai dati raccolti emerge che:
- 47% degli intervistati ha dichiarato di non avere mai avuto un agente e di aver sempre lavorato senza.
- 17,5% ha risposto di aver collaborato con un agente, ma solo per alcuni progetti, senza un’esclusiva.
- 28% ha detto di non avere mai lavorato con un agente, ma di essere alla ricerca di uno.
- Quasi l’8% afferma di lavorare sempre ed esclusivamente con un agente.
Questi numeri confermano che avere un agente non è un requisito indispensabile per lavorare nel settore della musica per il cinema. Anzi, in alcuni casi, si può lavorare più facilmente senza, evitando eventuali limitazioni imposte da un contratto di esclusiva con un’agenzia.
Il ruolo dell’agente, infatti, non è tanto quello di trovare nuovi ingaggi, quanto piuttosto quello di negoziare i contratti, tutelare il compositore e garantirgli condizioni di lavoro adeguate. In Italia, però, questa figura non è sempre centrale, e molti compositori riescono a ottenere incarichi e sviluppare la propria carriera basandosi su relazioni personali e networking.
Il consiglio? Se un agente lavora bene e garantisce opportunità concrete, è un valido alleato. Se invece limita le possibilità o non porta risultati, si può tranquillamente lavorare senza. La chiave del successo rimane la capacità di costruire relazioni professionali dirette con registi e produttori, come dimostrato dalla settima domanda.

9. Qual è stata la media annuale degli incassi ricevuti per i diritti d’autore e diritti connessi negli ultimi anni?
Questa domanda è particolarmente rilevante per gli aspiranti compositori, in quanto evidenzia che il guadagno derivante da una colonna sonora non si limita solo al compenso iniziale per la composizione della musica. Infatti, esistono diverse fonti di reddito secondarie, come i diritti d’autore e i diritti connessi.
Oltre al diritto d’autore, gestito da enti come la SIAE o altre associazioni, vi sono anche le royalties derivanti da diverse fonti, tra cui:
Diritti connessi (ad esempio Nuovo IMAIE)
Royalties derivanti dalla vendita di supporti fisici, come CD o vinili;
Streaming digitale e altre piattaforme online.
Dai dati raccolti emerge una grande variabilità nei guadagni:
30% degli intervistati dichiara di percepire meno di 1.000 € all’anno;
7% ha un introito compreso tra 8.000 e 10.000 €;
10% ha un introito compreso tra 4.000 e 7.000 €;
11% ha un introito compreso tra 2.000 e 3.000 €;
9,6% ha un introito oltre i 20.000 €;
16,3% ha un introito oltre i 10.000 €;
14,6% riceve oltre 50.000 € all’anno, una cifra significativa che dimostra come alcuni compositori abbiano costruito un catalogo di opere capaci di generare reddito costante.
Questi numeri mostrano che la carriera del compositore non si esaurisce con il pagamento per la scrittura di una partitura, ma può essere sostenuta da flussi di reddito derivanti dalle royalties e dai diritti d’autore. Un elemento chiave è la longevità delle opere: colonne sonore particolarmente apprezzate possono essere continuamente riproposte, licenziate per altri utilizzi o rimanere in circolazione generando introiti per anni.
Inoltre, alcuni compositori potrebbero trarre guadagno anche da brani scritti per altri scopi, come sigle televisive o canzoni di successo, che vengono eseguite e trasmesse regolarmente. In sintesi, il reddito derivante dai diritti d’autore può variare enormemente in base alla tipologia di opere composte, alla loro diffusione e all’ampiezza del proprio catalogo musicale.

10. Quali sono le maggiori difficoltà nel trovare nuovi lavori?
Questo riguarda anche i giovani, gli aspiranti compositori.
Le risposte che emergono provengono principalmente da professionisti del settore. La percentuale maggiore, il 35%, afferma che i budget per le colonne sonore sono sempre più bassi.
Effettivamente, è vero: i budget per le colonne sonore sono sempre più ridotti, soprattutto in Italia e, in generale, in Europa. Sarebbe interessante fare lo stesso tipo di sondaggio anche tra i montatori, ad esempio, chiedendosi quanto guadagna un montatore rispetto a un compositore. Probabilmente, un montatore guadagna più di un compositore, a occhio.
In generale, però, i budget per le colonne sonore sono decisamente più alti all’estero, negli Stati Uniti, per esempio. Il budget per un film medio in Italia può essere la cifra con cui si finanzia a malapena un progetto indipendente negli Stati Uniti, dove non c’è uno studio alle spalle. Nei grandi studi cinematografici, i budget per la colonna sonora sono generalmente una percentuale fissa, che si aggira intorno al 3% o 2% del budget complessivo del film.
In Italia, credo che si spenda di più per licenziare canzoni già esistenti da utilizzare nel film che per registrare colonne sonore originali. Questo è qualcosa che andrebbe corretto. Molti di questi budget destinati alla colonna sonora vengono spesi per licenziare brani già esistenti, e mi è capitato di sentire un regista che si vantava di quanto gli fosse costato ottenere una canzone di Hendrix. Se si guarda poi quanto è costato registrare la musica originale per la colonna sonora, la cifra è una frazione minima di quella spesa per licenziare solo 30 secondi di quella canzone. In alcuni casi, una canzone ha un valore narrativo o addirittura sceneggiato, ma spesso non è necessario. È solo un vezzo che il regista o il produttore vogliono concedersi. “Nel mio film c’è la canzone dei Depeche Mode” o di chiunque altro. I registi sono pronti a pagare molto volentieri per questo, ma molto meno per il lavoro del compositore.
I budget sono sempre più bassi per le colonne sonore e, come abbiamo visto, con 10.000 euro, e a volte anche meno, si riesce a realizzare la colonna sonora di un film. Questo, inevitabilmente, può influire sulla qualità, perché con 5.000 euro si fanno alcune cose, con 10.000 se ne possono fare altre.
A volte ti dicono: “Ti do 10.000 euro, ma la registrazione te la devi organizzare tu.” Quindi, cosa fai? O registri tutto al pianoforte o con i sintetizzatori, che, peraltro, possono anche dare ottimi risultati. A volte però, ti capita di usare strumenti virtuali, o pagare di tasca tua dei musicisti che vengono in studio a registrare piccole parti.
La competizione con i compositori affermati è un’altra difficoltà 11,5%. Ci sono compositori che riescono a fare diversi film o serie all’anno, perché hanno già rapporti consolidati con i registi. Questo non è un gioco di giustizia, ma è il mercato che risponde alle esigenze del settore. Se un regista conosce un compositore e si fida di lui, è ovvio che quel compositore lavorerà di più. La realtà è che spesso si parla sempre degli stessi compositori, quelli che lavorano molto perché sono conosciuti e affermati. Questo è un dato di fatto, quindi prendiamolo così. Un altro 31%, che è una percentuale significativa, indica la mancanza di contatti come una delle difficoltà maggiori. Non conoscere nessuno significa non riuscire a trovare nuovi lavori.
Il 22% lamenta difficoltà nel promuoversi efficacemente.
Come abbiamo visto, il contatto personale è spesso la chiave. Se si vuole lavorare di più, bisogna espandere la propria rete di contatti. Però, come si fa? Bisogna essere perseveranti, tentare in ogni modo possibile, e soprattutto, bisogna essere molto fortunati. Nel nostro mestiere, essere bravi è importante, ma non fondamentale. Molti lavori che abbiamo fatto non sono stati scelti per la nostra bravura, ma perché abbiamo avuto la fortuna di incontrare la persona giusta al momento giusto, che apprezzava la musica che stavamo facendo. Questo è spesso il segreto del successo. Io, per esempio, posso dire che le cose più importanti che ho fatto nella mia vita sono state per pura fortuna. Ho avuto la fortuna di incontrare quel regista, di riuscire a contattarlo al momento giusto. Questo, purtroppo, è qualcosa che non si può prevedere, ed è questo che vorrei dire soprattutto agli aspiranti compositori.

11. Quante volte ha partecipato a bandi, concorsi o gare per ottenere un lavoro negli ultimi 5 anni?
La maggioranza assoluta degli intervistati (77,9%) ha risposto “Mai”, indicando che non ha mai partecipato a una selezione competitiva per ottenere un lavoro. Il 18,3% ha dichiarato di aver partecipato 1-3 volte, una percentuale relativamente bassa ma comunque significativa. Solo una piccola frazione degli intervistati ha partecipato 4-10 volte (giallo) o più di 10 volte (verde), il che suggerisce che la partecipazione a concorsi è un fenomeno poco diffuso
Questo tipo di iniziative erano piuttosto comuni qualche anno fa, quando le produzioni proponevano: “Stiamo facendo questo film, mandami una proposta per la colonna sonora, fammi ascoltare alcuni brani per capire le tue idee.” Ti mandavano il copione o una scena e si preparavano dei provini sperando incontrassero il gusto di regia e produzione. Chiaramente, il lavoro che piaceva di più a regista e produzione, a volte indipendentemente dal nome del compositore, veniva scelto. Si trattava di un processo meritocratico.
La maggior parte degli intervistati ha risposto di non aver mai partecipato a una gara, il che è un dato interessante. Se non si partecipa a concorsi, significa che si hanno dei contatti certi, che si chiamano sempre le stesse persone, a volte anche per inerzia. Non c’è nulla di male in questo, anche se la partecipazione a gare potrebbe significare mettersi in gioco, “competere” con altri compositori. Personalmente, io partecipo frequentemente a “concorsi“, “provini” o “gare“, usate il termine che preferite li trovo un interessante stimolo creativo.
Un esempio riguarda un lavoro che ho fatto con la Rai diversi anni fa. Una serie di compositori avevano inviato dei provini anonimi, senza nome né titolo, e la produzione e il regista hanno ascoltato i vari brani e scelto quelli che piacevano di più, che fortunatamente sono stati i miei. È stato un processo giusto perché si è valutato il lavoro, non l’aspetto o il nome del compositore. Quella è stata l’unica volta che ho lavorato per la Rai, in una serie in prima serata, quindi un progetto anche abbastanza rilevante.
C’è chi dice che i provini siano inutili perché già si lavora con un regista e quindi sarebbe umiliante partecipare a una gara per continuare una collaborazione che c’è già. Questo è vero, soprattutto in casi come quello di Spielberg e John Williams, dove non è necessario fare provini, perché c’è un legame consolidato. Ma, nei casi in cui non ci siano collaborazioni di lunga data, penso che i provini siano giusti.
Nonostante possano risultare “antipatici” e ci mettano poco a nostro agio questi concorsi possono comportare, essi offrono un’opportunità di valutazione imparziale e meritocratica.

12. Quanto tempo dedichi alla promozione personale o alla ricerca di nuovi contatti?
71,2% delle persone dedica meno di 5 ore a settimana alla promozione personale o alla ricerca di nuovi contatti.
21,2% investe tra 5 e 10 ore a settimana in questa attività.
Una percentuale minore dedica più tempo:
- Il giallo rappresenta chi impiega tra 10 e 20 ore a settimana.
- Il verde indica chi si dedica più di 20 ore a settimana.
Molti quindi spendono meno di un’ora al giorno nella promozione della propria attività. E poi ci si lamenta di non avere abbastanza contatti? Ma, come abbiamo visto, la maggior parte dei lavori arriva tramite contatti preesistenti. Se si dedica poco tempo alla promozione di sé o alla ricerca di nuovi contatti, allora ci potrebbe essere un problema.
Potremmo pensare che molti compositori guadagnino talmente tanti soldi o abbiano talmente tanti lavori che non hanno bisogno di cercare nuovi contatti. Ma questa è una percentuale minima, come abbiamo detto. La maggior parte delle persone, invece, ammette di promuoversi poco, ma allo stesso tempo lamenta la mancanza di contatti.
Alcuni rispondono di dedicare tra le 5 e le 10 ore a settimana, il che rappresenta circa 1 ora al giorno, un tempo che possiamo considerare medio, con il 21% delle risposte. Altri rispondono di dedicare tra le 10 e le 20 ore a settimana. Anche se questa percentuale è comunque alta, ci sono anche coloro che spendono più tempo in attività di pubbliche relazioni che nel proprio lavoro di composizione. Quindi, si può dire che alcune persone potrebbero dedicare troppo tempo alla promozione e troppo poco alla musica stessa, il che potrebbe altrettanto influire negativamente sul loro lavoro creativo.

13. Quali sono i principali ostacoli che incontri nel tuo lavoro quotidiano come compositore?
Uno dei principali ostacoli che affrontano i compositori, secondo il 49 % delle risposte, è il budget limitato. I budget bassi delle produzioni musicali obbligano spesso i compositori a “inventarsi” soluzioni creative, ma questo processo può far perdere molto tempo e risorse, anche perchè spesso, a fronte di budget limitati ci sono richieste sproporzionate da parte delle produzioni
Un altro problema rilevante è la mancanza di visibilità e riconoscimento (quasi 30%). In generale, il compositore non è considerato l’elemento trainante del film quando si parla di promozione. Questo, naturalmente, è un aspetto difficile da accettare, specialmente quando il lavoro di un compositore viene visto come una parte “necessaria” ma poco riconosciuta. La visibilità e il riconoscimento sono cruciali non solo per il rispetto del nostro ruolo ma anche per il continuo ampliamento dei contatti professionali. Se non ci viene riconosciuto il nostro lavoro, ci risulta difficile farci conoscere e ottenere nuovi incarichi.
Poi, c’è la comunicazione scarsa (15,4%) con registi e produttori. La mancanza di dialogo e di comprensione reciproca può portare a conflitti, rendendo più difficile lavorare insieme in modo produttivo. Questo spesso si collega alla percezione che il nostro ruolo non venga rispettato come meriterebbe. Se non c’è riconoscimento, è facile che si verifichino incomprensioni e difficoltà nella relazione professionale.
Infine, c’è il rischio di accettare lavori a basso budget (8,7%) per necessità, soprattutto per rimanere attivi nel campo e fare almeno un film all’anno. A volte, per non restare senza progetti, si accettano offerte che non soddisfano i propri standard economici. Questo crea un circolo vizioso, dove la scarsità di risorse porta a una qualità più bassa nel lavoro e a un minor rispetto da parte delle altre figure professionali, che potrebbero considerare i compositori meno importanti rispetto ad altri professionisti del settore.
Questi problemi non solo influenzano la qualità del lavoro ma anche la crescita professionale a lungo termine.

14. Come valuti il futuro del tuo lavoro come compositore di musica da film in Italia?
Il futuro del lavoro come compositore di musica da film in Italia appare incerto per una percentuale altissima del 58,7%. Questo dato è sorprendente, ma direttamente collegato ai dati della domanda precedente. Questi elementi fanno emergere un quadro piuttosto negativo, in cui non sembra esserci una direzione chiara per il futuro della professione.
Spesso si parla dell’intelligenza artificiale come uno dei rischi attuali del nostro lavoro ma a quanto pare i veri problemi al momento sono altri.
In generale, il futuro appare piuttosto negativo, con molta negatività e malessere legati a difficoltà professionali e strutturali del settore. Tuttavia, c’è anche una piccola percentuale di ottimismo (23,1%), ma sembra che questo ottimismo non sia diffuso tra la maggior parte dei compositori. Anzi, il 17,3 % dei professionisti dichiara di vedere il futuro in maniera del tutto negativa.
Questo scenario dipinge un quadro di una professione che manca di certezze e in cui sono necessarie cambiamenti significativi per migliorare le condizioni di lavoro e abbattere le difficoltà che i compositori si trovano ad affrontare. La chiave sembra essere un sforzo collettivo per cercare di cambiare questa realtà e costruire un futuro migliore per la musica da film in Italia.

15. Quanto ti senti supportato dalla Comunità cinematografica italiana?
Il 48,1% dei compositori che ha risposto al sondaggio si sente per niente supportato dalla comunità cinematografica italiana. Poi c’è il 44,2% che si sente poco supportato, mentre solo un 7,7% dice di sentirsi abbastanza supportato. Questi numeri sono davvero emblematici di quanto ci sentiamo poco riconosciuti e apprezzati in un settore che dovrebbe, invece, valorizzare il nostro lavoro.
Nonostante esistano delle comunità cinematografiche all’estero, in Italia vedo una grande carenza. Non c’è quel senso di appartenenza che esiste in altre realtà. All’estero, compositori, registi e altre figure del settore si confrontano di più, si riuniscono per scambiarsi idee e crescere insieme. In Italia, invece, una volta che il film è finito, sembra che il nostro lavoro non venga più considerato. Non abbiamo quella rete di supporto che ci aiuti a sentirci parte di un processo creativo collettivo.
Anche la comunicazione con registi e produttori è spesso scarsa. Non ci sentiamo parte integrante del progetto, e questo alimenta un isolamento che rende ancora più difficile crescere professionalmente. Mi sono reso conto che in Italia, purtroppo, non c’è quel supporto che ci permetta di collaborare realmente. Per questo, anche se in Italia ci sono delle realtà, come l’ACMF ( Associazione Compositori Musica per Film), che cerca di unire i compositori, nel complesso la comunità cinematografica italiana non è abbastanza solida e supportiva. Anche se abbiamo delle realtà come questa, c’è bisogno di un maggiore consolidamento e un supporto reciproco più forte tra tutti noi, il supporto all’interno del settore cinematografico italiano resta insufficiente rispetto a quello che si vede in altri paesi. Come compositore, spero che, con il tempo, questa situazione cambi e che riusciremo a rafforzare la nostra comunità.

16. Qual è il principale strumento che utilizzi per promuoverti?
Non sorprende che la maggior parte (48%) si affidi anche ai social media, con Facebook, Instagram e altre piattaforme come YouTube. Ormai, i social sono diventati strumenti quasi indispensabili per farsi conoscere e raggiungere un pubblico più vasto.
Il 33% dei compositori si promuove attraverso il network di contatti, quindi tramite contatti che già possiede. Questo conferma ciò che avevamo già visto prima: i contatti preesistenti sono fondamentali per ottenere lavori e opportunità. Molti compositori, infatti, si promuovono tramite il passaparola, proprio come si faceva un tempo, quando le relazioni erano più personali e dirette.
Il sito web personale è stato citato da solo l’11% dei rispondenti, il che significa che, sebbene possa essere utile, non è il principale canale di promozione per la maggior parte di noi. Allo stesso modo, la partecipazione a eventi e festival è stata indicata solo dal 7,7%. Questi eventi dal vivo, pur essendo un’opportunità di confronto e visibilità, non sono la prima scelta per la maggior parte dei compositori. Credo che un equilibrio tra tutti questi strumenti possa essere utile per costruire una presenza solida e diversificata nel mondo del cinema e della musica per film.

17. Come ti identifichi in termini di genere?
I dati di questa domanda sono stati abbastanza prevedibili. Il 89% dei compositori che hanno risposto al sondaggio si identifica come uomo, mentre solo il 7,8% si identifica come donna. La percentuale di compositrici, quindi, è molto bassa, quasi minima. È un dato che mi sconvolge, soprattutto considerando che nel cinema ci sono molte montatrici e alcune registe (anche se in percentuale minore), ma quando si parla di composizione musicale, le donne sono veramente poche.
Questo dato mette in evidenza una disparità di genere nel nostro settore. Personalmente, credo che il mestiere di compositore non debba essere legato al genere, ma solo alla passione e alla capacità creativa. Invito tutte le donne che sono interessate alla musica per film a dedicarsi a questa professione, perché è un lavoro meraviglioso, che non conosce limiti di genere.
Inoltre, una riflessione che faccio è che, se ci fossero più gare anonime (come accade in alcune audizioni orchestrali), forse ci sarebbe una maggiore equità e le compositrici avrebbero più possibilità di emergere. Questo è qualcosa che non possiamo sapere con certezza, dato che le gare anonime in Italia sono molto rare. Ma credo che se fosse possibile giudicare solo sulla qualità musicale, senza pregiudizi di genere, potremmo vedere una maggiore diversità anche tra i compositori.

18. Ha una disabilità fisica o mentale che desideri segnalare?
Questa domanda mi interessava particolarmente, e forse qualcuno potrebbe chiedersi “Cosa c’entra?”, ma io credo che, quando parliamo di discriminazioni, non dobbiamo limitarci solo al genere, ma dobbiamo considerare anche altre forme di discriminazione, come quelle legate alle disabilità. Un compositore con una disabilità fisica o mentale, evidente o meno, viene trattato allo stesso modo rispetto agli altri? Viene chiamato e ingaggiato allo stesso modo, senza pregiudizi? È importante sollevare questa riflessione, perché, come nel caso delle donne compositrici di cui parlavamo prima, le discriminazioni non dovrebbero mai fare parte del nostro settore, e dovrebbero essere eliminate, sia che riguardino il genere che altre caratteristiche personali.
Nel nostro sondaggio, il 92,3% delle persone ha dichiarato di non avere disabilità. Una piccola percentuale ha preferito non rispondere, il che è comprensibile. La percentuale di chi ha una disabilità fisica o mentale è minima, ma la domanda rimane interessante. Mi chiedo se, in un mondo ideale, un compositore con disabilità potesse essere scelto alla pari degli altri, magari partecipando a provini anonimi, dove l’unico criterio di selezione sia la qualità musicale e non fattori come l’aspetto fisico o altre caratteristiche personali.
Non è facile sapere come sarebbe, ma è un concetto che merita attenzione. In un’industria in cui la creatività e la competenza dovrebbero essere al centro, sarebbe importante garantire che tutte le persone, indipendentemente da eventuali disabilità, abbiano la stessa opportunità di emergere e di farsi notare.
La riflessione sul provino anonimo si collega a questo discorso, come nel caso delle donne compositrici di cui parlavamo prima: se le selezioni fossero basate esclusivamente sul talento musicale, senza pregiudizi legati al genere o alle disabilità, potremmo davvero ottenere una selezione più equa e diversificata.

19. In che modo il tuo lavoro come compositore influisce sul tuo benessere mentale?
Mi interessa molto il tema del benessere mentale, e sono un forte sostenitore di una buona salute mentale, soprattutto nel mondo del cinema, dove ci sono molte difficoltà, sia legate alla pressione che alla gestione dello stress. Non è raro che il lavoro di compositore, come molti lavori nel settore, comporti sfide che possono influenzare negativamente il nostro benessere mentale.
Nel sondaggio, il 52,9% ha risposto che il lavoro di compositore ha un impatto positivo, ma stressante sulla propria salute mentale. Molti, infatti, descrivono il lavoro come soddisfacente, ma anche come una fonte di grande stress. Quasi il 35,6% dei rispondenti ha affermato che il lavoro dà soddisfazione e motivazione, quindi si può dire che una parte significativa dei compositori vede questo lavoro come fonte di gratificazione. Tuttavia, è un dato da non sottovalutare che una percentuale rilevante, pari a 5,8%, ha dichiarato che il loro lavoro non ha particolari effetti positivi o negativi sul benessere mentale. Anche se questa cifra è piccola, bisogna ricordare che non è insignificante.
C’è anche una percentuale che purtroppo sente che il lavoro influisce negativamente sul benessere mentale, ma è una percentuale più bassa. La vera sfida, però, sta nel fatto che lo stress e le difficoltà legate al lavoro di compositore possono arrivare da aspetti inaspettati: progetti che non vanno come sperato, rapporti difficili con i registi, bassi compensi o condizioni di lavoro sfavorevoli.
Non bisogna mai dimenticare che il nostro lavoro può sembrare affascinante, ma in realtà presenta lati oscuri che non tutti vedono. E quando questi lati negativi si accumulano, come nei casi di malesseri psicologici, la pressione può essere davvero pesante. È importante essere consapevoli che il benessere mentale non è lineare e che ci possono essere alti e bassi nel corso della carriera. Ci sono momenti di grande soddisfazione, ma anche momenti difficili che possono far sentire un compositore esausto o addirittura farlo pensare di voler abbandonare tutto.
Per questo motivo, credo che sarebbe utile fare una sorta di check-up mentale ogni tanto, non solo una volta, ma magari ogni sei mesi o annualmente. Un momento per fermarsi, riflettere e chiedersi se davvero il lavoro ci sta dando ciò che desideriamo, se stiamo vivendo un periodo positivo o se è il caso di prendere una pausa e cercare un nuovo approccio.
Il benessere mentale dei compositori, ma anche di tutti i professionisti del cinema, va assolutamente preservato. La creatività e la passione per il nostro mestiere devono rimanere in primo piano, ma senza sacrificare il nostro benessere psicologico.

20. Devi integrare il tuo reddito come compositore con altri lavori?
Questa è una domanda molto significativa, soprattutto per i futuri compositori. I dati sono abbastanza chiari: il 61,5% degli intervistati ha risposto di sì, indicando che per sopravvivere e continuare a fare il compositore, spesso si è costretti ad integrare il reddito con altri lavori. Questi lavori, per lo più, sono legati alla musica, come insegnamento, arrangiamento, produzione musicale, e così via. C’è anche chi svolge lavori non artistici, al di fuori della musica, per mantenersi.
La percentuale di chi non ha bisogno di integrare il reddito è piuttosto bassa, solo il 28,2% ha risposto che il lavoro di compositore è la loro unica fonte di reddito.
Parlando di un campione di compositori professionisti, che hanno lavorato almeno su un film nell’ultimo anno (e non su un progetto di 10 o 15 anni fa), risulta che la maggioranza (circa il 70%) è costretta a fare un secondo lavoro. Questo è un dato importante per capire la realtà del mestiere. Pochi compositori riescono a vivere esclusivamente della composizione per il cinema.
Quindi, se da un lato il lavoro di compositore è una carriera affascinante, dall’altro lato è necessario essere realisti. È importante sapere che la realizzazione economica potrebbe non arrivare subito e che molti professionisti del settore sono costretti a fare altro per sostenersi.
Futuri compositori, vi invito a essere consapevoli di questa difficoltà, non per scoraggiarvi, ma per farvi capire che la strada potrebbe essere più complessa di quanto sembri.

Dall’analisi dei dati raccolti nel sondaggio emerge un quadro chiaro della professione del compositore per il cinema in Italia. Si evidenzia una realtà frammentata, caratterizzata da una certa continuità lavorativa per molti professionisti, ma anche da notevoli difficoltà economiche e di accesso ai mercati internazionali.
Si deduce che il settore, pur offrendo opportunità, presenta una forte precarietà dovuta ai bassi compensi, alla difficoltà nel costruire relazioni professionali e alla crescente importanza dello streaming rispetto alla distribuzione cinematografica tradizionale. I compositori italiani faticano a inserirsi nel mercato europeo e internazionale, in parte per protezionismi nazionali e in parte per la scarsa promozione delle proprie competenze all’estero. Inoltre, la professione è fortemente legata ai contatti personali, mentre il ruolo degli agenti risulta marginale rispetto ad altri settori creativi.
La scarsa valorizzazione del ruolo del compositore è un altro elemento critico: i budget destinati alle colonne sonore sono limitati e spesso inferiori a quelli stanziati per licenze musicali preesistenti. Questo contribuisce alla difficoltà di mantenere una carriera esclusivamente basata sulla composizione per film, costringendo molti professionisti a diversificare le proprie attività. Infine, la percezione di un futuro incerto e lo scarso supporto della comunità cinematografica incidono sul benessere mentale dei compositori, rendendo ancora più difficile la sostenibilità della professione.
Consigli per i compositori attuali e futuri
- Diversificare le fonti di reddito: Oltre alla composizione per il cinema, è utile esplorare altre opportunità come la produzione musicale per serie TV, documentari, pubblicità e videogiochi. La gestione dei diritti d’autore e la creazione di un catalogo di opere possono garantire un’entrata economica più stabile nel tempo.
- Investire nelle relazioni professionali: Il networking è fondamentale per ottenere incarichi. Frequentare festival cinematografici, eventi di settore e partecipare a masterclass può aiutare a costruire connessioni con registi e produttori, aumentando le possibilità di ingaggio.
- Sviluppare una presenza internazionale: Data la difficoltà di accesso al mercato europeo ed extraeuropeo, è importante cercare collaborazioni internazionali, partecipare a concorsi globali e promuovere attivamente il proprio lavoro su piattaforme online per aumentare la visibilità all’estero.
- Adattarsi al cambiamento dell’industria audiovisiva: Il passaggio dallo schermo cinematografico allo streaming impone nuove strategie di lavoro. Affrontare le esigenze delle piattaforme digitali, comprendere le tendenze della serialità e sviluppare competenze tecniche nell’uso di software avanzati possono fare la differenza nel lungo termine.
- Migliorare la negoziazione contrattuale: La consapevolezza del valore del proprio lavoro è essenziale per evitare di accettare compensi troppo bassi. Anche senza un agente, è utile approfondire le dinamiche contrattuali e, se necessario, rivolgersi a consulenti specializzati.
- Curare la propria promozione: La presenza sui social media, la creazione di un sito web professionale e l’uso di piattaforme di portfolio musicale possono facilitare il contatto con nuovi potenziali clienti. La promozione attiva del proprio lavoro è cruciale per emergere in un mercato altamente competitivo.
- Gestire lo stress e il benessere mentale: La precarietà della professione e la pressione creativa possono essere difficili da gestire. È importante bilanciare il lavoro con il benessere personale, evitando di accettare condizioni di lavoro eccessivamente penalizzanti e cercando supporto nella comunità di colleghi.